Sulla scia di Ceglie, anche Carovigno si avvia a meritare la denominazione di “città di gastronomia”. L’ultimo nato (il parto risale alla scorsa primavera) è un minuscolo ristorante (un paio di stanzette, una delle quali soppalcata; 8 tavoli e poco più di 20 coperti in tutto) in una via del centro storico a due passi dalla piazza principale del paese (dove si può anche trovare parcheggio). Il nome è, naturalmente, fortemente indicativo della propensione del giovane chef-patron a reinterpretare, in maniera originale (senza, però, mai arrivare a estremismi cervellotici), i prodotti del territorio, perno fondante dell’intero menu, sapientemente combinati fra di loro. Artefice di tutto ciò è un enfant du pays, Danilo VITA, 32enne, il quale, dopo aver girovagato tra cucine più o meno stellate (ALAIMO e CRACCO, tanto per fare due nomi non propriamente trascurabili) e dopo un’esperienza londinese, ha deciso di mettere a frutto le esperienze maturate e di ristrutturare la piccola abitazione dove vivevano i nonni, trasformandola in un graziosissimo ristorante, nel quale sarete accolti dalla sorella cui è affidata la cura della sala. Il menu cambia quasi una volta al mese, tranne alcuni piatti (la seppia al nero con crema di patate e arancia, ad esempio), che è in carta dal primo giorno di apertura e che è destinato a diventare il piatto immagine dello chef. Dall’ultima visita, notevolissimo l’uovo cotto a bassa temperatura con crema di sponzali, pomodorini, pane aromatizzato croccante e foie gras (unica, obbligata, concessione all’extraterritorialità); così pure il risotto con finto radicchio, finto latte di provolone e guanciale brasato; un maialino (di 40 giorni) cotto per 40 ore con cipolla e indivia agli agrumi,che si potrebbe anche mangiare senza coltello; e una variazione sul manzo (“dal filetto al collo”) con funghi cardoncelli e una spruzzata di whisky torbato. Si chiude con la panna “ri-cotta”, o con una torta sbagliata con limone amarena e cioccolato bianco. La cantina non è ancora all’altezza della cucina; qualche buona bollicina (Franciacorta, Trento e Puglia) e poi solo regionali (non sempre adatti alla complessità dei piatti); un’apertura fuori dai confini pugliesi non sarebbe fuori luogo. A concludere un conto più che onesto (circa 10 euro per gli antipasti e i primi; sui 15 i secondi; 4,50 i dessert); possibilità di due menu degustazioni a 35 (4 portate) e 40 (5 portate) euro. Il tutto per una delle più piacevoli novità dell’ancora povero firmamento della ristorazione di Puglia.
A cura di Francesco Zompi