UNA FAMIGLIA CON FORTI RADICI SUL TERRITORIO

Non ho mai chiesto a CLAUDIO TRAMIS, da sempre anima e corpo di LILITH, il perché abbia voluto dare al suo ristorante, il nome di un’antichissima figura mitologica, immagine sia della “prima donna” creata, sia  della madre di tutti i demoni.
Forse meglio lasciare la cosa avvolta da un nebuloso mistero.
Ciò che conta è che LILITH finalmente, dopo un lungo peregrinare (da via Principe Amedeo al Circolo Tennis di Lecce, al  Golf Club di Acaja), abbia trovato, da poco più di un anno (dicembre 2015), residenza stabile in una masseria dell’800 sapientemente ristrutturata.
Per arrivarci, a metà strada tra  Strudà e Vanze, bisogna fare molta attenzione a un’ insegna indicante una deviazione sulla destra.
Tre generazioni familiari si dividono cucina e sala; nella prima regnano nonna Carmela e mamma Miriana, alle quali di recente si è aggiunto il giovanissimo ventiquattrenne Matteo, fresco di diploma conseguito presso la scuola marchesiana di Colorno; nella sala troviamo, ovviamente, Claudio e la rappresentante della terza generazione Giulia di ventitré anni, neolaureata in Scienze Gastronomiche a Pollenzo.

Una scelta bucolica ha arricchito il ristorante di un preziosissimo orto dal quale si attinge più della metà dei prodotti utilizzati; tutto il resto viene dai dintorni, con le uniche eccezioni dei presidi Slow Food, quasi tutti presenti e comunque limitati alla produzione pugliese (capocollo, caciocavallo, mandorle, latticini, pomodori fiaschetto).
La linea di cucina segue fedelmente la produzione stagionale, rimanendo con rigore ancorata alla tradizione. Trova la sua massima espressione nelle paste fatte rigorosamente in casa. Le “chicchette” di grano integrale con pancetta e carciofi, le sagne ‘ncannulate all’ amatriciana (ciò in omaggio delle popolazioni terremotate, cui è destinata una quota del prezzo), gli ottimi tortelli di burrata con rosmarino, mandorle e capocollo, eccone alcuni esempi. Il prezzo dei primi varia dai 10 ai 12 euro.
Apprezzabilissimi anche gli antipasti (8, 12 euro), con una particolare menzione per la lingua di vitello con carpaccio di carciofi e per il tortino di verza ripieno di carne macinata. Baccalà a parte, i secondi piatti (tutti 12 euro) sono di carne: maiale (stracotto o, in omaggio alla Valle d’Itria, le mitiche bombette); vitello (con pastinaca di Tiggiano), cavallo (involtini cotti nella passata di pomodoro fiaschetto). E per concludere l’imperdibile torta pasticciotto (5 euro), probabilmente la migliore che si possa assaggiare fuori di casa.
La cantina annovera bottiglie prevalentemente pugliesi, con oculate divagazioni extraregionali (Piemonte, Toscana, Veneto e Alto Adige, in particolare).
Buon cibo, buona cantina, buona accoglienza, il tutto ad un ottimo prezzo. Cosa  chiedere di più? Insomma, un indirizzo assolutamente consigliabile per una cena o per un pranzo domenicale.

A cura di Francesco Zompì