Se, come molti dicono, Patria è dove è il tuo cuore, allora in quel caso porto nella storia della mia vita molteplici patrie, tante quanto le sistole e le diastole che certe nazioni sono riuscite e continuano a provocarmi.
Secondo la narrativa islamica, nel cielo infinito esiste un albero chiamato Tuba, forte, robusto e sempreverde come un qualsiasi albero terreno, ma con una piccola particolarità: ha radici piantate nell’aria. Ecco cosa significa avere più nazioni, più case, più patrie. Ho radici ma non sono radicata, le ho nell’aria e non nel suolo. Quando le tue radici sono in aria puoi sentirti connessa a più di un singolo paese, a più di una cultura o identità. D’altronde, proprio la storia della mia vita mi porta ad avere una flessibilità nel prediligere il plurale anziché il singolare: figlia di albanesi nata in Italia. Il destino mi ha confezionato due nazioni sin dalla nascita e chissà quante altre ancora riuscirò a crearmene io, guidata dalle mie insolite radici fluttuanti.
Che mi piaccia osservare il mondo e i suoi abitanti attraverso il filtro “Melting Pot” (in italiano crogiolo, calderone) non si discute; che sia un’appassionata di lingue straniere e a cicli regolari mi faccio passare per la testa nuovi gusti lingustici anche. Che mi piaccia prendere la vita con un pizzico di idealismo e sano vagabondaggio giovanile è assodato da tempo oramai.
Esiste però la consapevolezza che ogni storia umana abbia un punto fermo dal quale iniziare a srotolarla e scriverla. Ci si può spingere oltre i propri confini culturali, espandendo le circonferenze dei rispettivi meridiani e paralleli geografici, ma dobbiamo pur sempre partire da un qualcosa. Per me e tanti altri ragazzi nati in questo paese , l’Italia è la punta del compasso dalla quale iniziare a tracciare la propria storia.
In merito alla questione dello “Ius Soli” sorta in questi ultimi giorni, sento il dovere morale di testimoniare la mia linea di pensiero fondata su un’esperienza lunga 20 anni . La cittadinanza è senz’ombra di dubbio un valore della vita intrinseco a ragioni sociali, legali e burocratiche, non sovrapponibile all’idea di patria come sinonimo di cuore. La cittadinanza intesa come passaporto è frutto di legge e in quanto tale è corretto e necessario non mescolare minimante il concetto legale che assume quest’ultima con sentimentalismi del tipo “vivo in Italia e mi sento italiano”, ”casa mia è qui e automaticamente sono cittadino”. È giusto che ci siano tasselli fatti di legalità , contributi e precise richieste imposte dalla legge affinchè per ogni straniero residente in Italia si materializzi il rettangolo, la stella e la scritta “Unione Europea - Repubblica Italiana”.
È anche giusto però che i requisiti per aspirare ad essere cittadino del Bel Paese vengano rivisti e rivalutati dal nostro governo, considerando come i veterani dell’UE siano un tantino più avanti sotto questo punto di vista. Sino a qualche anno fa, in merito alla questione “italiana o no” agli occhi dello Stato, abbracciavo la famiglia dei "Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente”.
Caro governo, tutti questi anni per una persona nata in Puglia, a suono di “Buon Natale e buone feste” in reparto, sono tanti. Diciotto anni per essere riconosciuta dal proprio paese come cittadino a tutti gli effetti sono ben più lunghi e umilianti delle interminabili file in questura. Cari coloro che si oppongono allo “Ius Soli”, è piuttosto paradossale far attendere così a lungo per rivolgere una domanda priva di punto interrogativo. Ma quale domanda poi? Può un pargoletto nato in Italia domandare di essere italiano? Quello stesso bambino che parlerà questa lingua prima di qualsiasi altra al mondo, che trascorrerà i suoi pomeriggi scolastici ad imparare a memoria le regioni italiane e il benedetto Po con annessi affluenti, Romolo e Remo con la Lupa Capitolina, è necessario che attenda il suo diciottesimo compleanno per iniziare a sperare di essere riconosciuto come cittadino italiano?! La risposta è inevitabilmente chiara: No!
Ecco perché al giorno d’oggi lo “Ius Soli” è la prova concreta di quanto la legge possa essere bella nel riadattarsi costantemente, comprendendo i propri errori e riformandosi in nome dell’intelligenza e grandezza che essa vive per natura. Sarebbe un’offesa nei confronti della nostra Costituzione continuare a spingere decisioni così ben rivalutate verso l’annullamento.
Dunque “Panta Rei”, anche la legge! Si al cambiamento, si allo Ius Soli !
Di Enza Keci