A cura di Giusy Santomanco
“Gente di fabbrica” di Federico Bellono e Filomena Greco – Edizioni Gruppo Abele – pag. 141 Filomena Greco è una giornalista de Il sole 24 ore ed io la conosco da quasi 30 anni. Lo dico subito per confessare che, probabilmente, se non ci fosse stato questo legame, il libro con un sottotitolo così: “metalmeccaniche e metalmeccanici nel nuovo millennio”, visto sullo scaffale di una libreria, non avrebbe suscitato il mio interesse. Eppure, adesso che ho letto le 15 storie delle lavoratrici e dei lavoratori intervistati, sono grata agli autori per questo lavoro che, lungi dall’essere una inchiesta sulle condizioni degli operai nell’industria del torinese, rappresenta invece tutti i colori dell’anima di chi fa un mestiere non solo per portare a casa lo stipendio, ma anche per sentirsi parte di una grande squadra, impegnata in un progetto nel quale è in gioco il futuro del nostro paese.
E così, il lettore che in una industria non c’è mai stato, scopre – grazie ad Andrea che lavora in General Motors, che la sua è una “fabbrica –laboratorio dove si fa un grande lavoro per valorizzare, ottimizzare e sviluppare la capacità di lavorare in gruppo, con un’attenzione particolare a favorire momenti di condivisione, con le famiglie, eventi sportivi, giornate dedicate ad attività per tutti”. Accanto alle esperienze positive, non mancano quelle di chi, per esempio, è addetto alla catena di montaggio ed è preoccupato dal logorio fisico, essendogli spesso precluse condotte innocenti, come scambiare una parola con un collega. Il racconto di Simona, per esempio, dipendente della Maserati, mi ha fatto riflettere su quanto debba essere pesante lavorare in modo ripetitivo per 8 ore al giorno e quanta fatica scaturisca da questa ripetitività. Ogni storia riesce a comunicare non solo l’atmosfera del lavoro in fabbrica, ma anche sogni, aspirazioni e sì, spesso rimpianti, di chi ha solo voglia di rendersi utile, perché – come dice Beppe “la sensazione di non potersi realizzare è la stessa per chiunque”.
Perché, dunque, leggere questo libro? Perché è un’opera onesta che fotografa la realtà della fabbrica dal punto di vista di chi la vive, sognando di realizzarsi, per se stessi e per i loro figli ai quali tutti i protagonisti, quasi indistintamente, lanciano un messaggio: è importante studiare, essere formati e specializzati nel fare qualcosa. E se quel qualcosa non è più richiesto, predisporsi a formarsi ancora per essere pronti a fare altro.
Ecco perché, a mio avviso, questo libro è indicato anche per gli studenti, perché sollecita la consapevolezza delle proprie aspirazioni e l’impegno a seguire le inclinazioni di ciascuno nella ricerca del proprio ruolo lavorativo.
Ho trovato interessanti:
lo stile con cui le storie sono state raccontate
Una parola nuova: “automotive” (pag. 81) significa “che riguarda la produzione di veicoli terrestri a motore” Una citazione: “Dovevo portare i soldi a casa, però la fabbrica è stata l’università della mia vita, non rimpiango nulla, quello che mi è piaciuto di più è che quel lavoro, in realtà, mi ha permesso di continuare a studiare. I libri che ho comprato, così come gli strumenti musicali, me li sono potuti permettere grazie al mio lavoro. La mia “originalità” rispetto ai colleghi le mie conoscenze musicali e storiche mi hanno dato credibilità e mi hanno favorito, in realtà, anche sul piano sindacale, nel dialogo con le persone”. (pag. 75)